domenica 22 dicembre 2013

La magia del Natale

E' accaduto recentemente, ed in modo assolutamente inaspettato, che mi rendessi conto, più di quanto me ne renda conto di solito, di quanto io sia fortunata. 
E' accaduto il giorno in cui sono tornata a Modena, per le vacanze di Natale, a passare due tranquille settimane con la mia famiglia, i miei vecchi amici e la mia città che, nonostante non sia molto lontana da Padova, mi manca in maniera a dir poco incredibile. 
Non so se sia stato il ritorno, il Natale, il percorso di crescita personale che sto seguendo o, come il buon senso e la probabilità suggeriscono, un misto tra le tre cose. Da quando sono qui, ogni cosa sembra magica, incredibilmente.... wow! E' in particolare accaduto che, come solevo fare lo scorso anno, quando ero sola e disoccupata e cadevo spesso e volentieri vittima di una malinconica noia, sia andata a mettere a bagno i piedi, e mi sia ritrovata a pensare a quanto magnifico sia il fatto che io abbia la possibilità, ogni giorno, in qualsiasi momento, di avere acqua calda, senza doverla scaldare. 
Dopo qualche istante di estrema meraviglia e stupore per non aver mai fatto caso, prima d'ora, a questa enorme fortuna che ho, mi sono fatta un breve ripasso mentale di tutti quei meccanismi che fanno sì che l'acqua calda sia continuamente presente nei condomìni, senza che i condòmini facciano un gran ché per procurarsela: a loro basta soltanto girare una manovella in una direzione. Tempo addietro, parlando di questa zona, ed ancora oggi, in altre parti del mondo, per avere questo privilegio le persone dovevano, e devono, procurarsi acqua fresca, trasportarla fino a casa, accendere un fuoco, riscaldarla ed utilizzarla abbastanza in fretta, prima che si raffreddi di nuovo. Non entrerò nel dettaglio di questo discorso, trattandosi di un'esperienza che non ho avuto modo di vivere direttamente (anche se mi piacerebbe provare). Ho quindi pensato a quanto tempo e fatica viene risparmiato, a noi fortunati occidentali, da tutta questa serie di processi che altre persone svolgono per lavoro (per procurarsi soldi parte dei quali, tra l'altro, utilizzeranno per pagare l'acqua calda per le proprie case). 
Così va ormai la nostra vita: non dobbiamo fare altro che estrarre una banconota, e spesso e volentieri più di una, dal portafogli, e qualsiasi servizio è a nostra disposizione (non mi addentrerò nel discorso di sesso e prostituzione, più che altro perché mi dilungherei in elucubrazioni sul quanto il sesso possa essere definito servizio). Non dobbiamo quasi più fare niente per ottenere quel che ci serve per vivere una vita dignitosa e comoda. O meglio, sì, dobbiamo lavorare, ma il lavoro è un mezzo indiretto. Non dobbiamo cacciare, ecco. Un notevole risparmio di tempo, di fatica, ma a cosa porta tutto ciò? Per quanto incredibili siano le fortune e le comodità di cui godiamo, senza aver fatto un gran ché per conquistarcele (non personalmente, si intende) sono pochi ad usare tutto ciò in modo costruttivo: sono pochi addirittura a rendersi conto di quanto poco scontato sia vivere in questa maniera. Viviamo in un mondo in cui lavoriamo incessantemente per gli altri e loro lavorano incessantemente per noi, e a malapena ce ne accorgiamo. Differenziando, dividendo, abbiamo perso ogni briciolo di cognizione di causa-effetto, abbiamo perso la consapevolezza e la gratitudine, e molto spesso anche l'ingegno, quella magica capacità che ci è data per risolvere i problemi, l'impulso creativo che ci fa sentire vivi. 
Siamo come mummie che cercano di sopravvivere brancolando nel buio, e che solo in rare occasioni, come ad esempio il Natale, ricordano qualcosa di vago riguardo all'amore. 
Forse si tratta di mie elucubrazioni e false speranze, forse perché in fondo sono molto più romantica di quello che sembra, ma ho come l'impressione che le guance delle persone siano un po' più rosse, sotto Natale, questa festa di origini pagane tramutata in cristiana che e così intrisa di ipocrisia e capitalismo, eppure appare come un'oasi nel deserto, in mezzo all'inverno, come a ricordare che nonostante freddo e stanchezza c'è ancora qualcosa per cui gioire, e finalmente le persone si prendono cura di qualcosa. Lo fanno per tradizione, senza nemmeno rendersene troppo conto, ma lo fanno, e secondo me è questo ad essere importante. 
Come se per un attimo si potesse respirare, un po' più profondamente del solito.

domenica 3 novembre 2013

L'Assurdo

Tutto prosegue regolarmente, anche se allegro, nel luogo in cui mi sono trasferita. La mia città, invece, è diventata un teatrino dell'assurdo.
Non starò a dilungarmi per molto sul fatto che già soltanto questo semplice fatto è di per sé assurdo, altrimenti temo starei a dilungarmi per un tempo ed un numero di righe eccessivo su come l'assurdo comprenda l'assurdo, e mi inizierei a chiedere se si tratti di un'interferenza costruttiva come quella tra onde, per cui l'ampiezza dell'assurdità viene incrementata, o piuttosto di un classico doppio meno che fa più, per cui la presenza dell'assurdo nell'assurdo finisce per rendere tutto normale. 
Tutto questo per dire che, di solito, quando una persona di età relativamente giovane relativamente al mondo, anche se, nel mio caso, un pelo avanzata relativamente a quella dei compagni di corso e di stanza, se ne va da casa dei genitori, in un'altra città oltretutto, non troppo vicina, tendono, da quanto ne so io, ad accadere assurdità proprio in questa nuova città, e questa volta non si tratta di un fatto assurdo: non c'è controllo, tutto è nuovo e sconosciuto, non si sa bene dove fare la spesa, cosa comprare e come trasportare questo qualcosa sulla bici mezza scassata comprata per davvero pochi soldi, non si conosce nessuno e si fanno tante figuracce, e i coinquilini non sempre sono persone normali. Si tratta dunque di un caso in cui l'assurdità è l'ordine del giorno, e, anche se la si può trovare assai divertente, se si possiede una buona dose di senso dell'umorismo, o frustrante, in caso contrario, non ci si stupisce troppo del fatto che accada: sono cose normali da studenti fuori sede, diverse tra loro ma unite per tutti. C'è anche il caso, oltretutto, che si crei una certa solidarietà, in certi contesti, tra studenti fuori sede, ognuno spaesato e perso in questo mare di assurde novità, carichi di spirito di avventura ma anche di quel vago senso di solitudine che fa da sottofondo, e a cui si cerca di compensare riunendosi con i primi che capitano a mangiare una pizza e parlare dei professori, o bere una cioccolata calda all'una di notte, perché gli orari non ci sono. 
A causa di questo senso di solitudine, comunque, capita che chi ne ha la possibilità e non deve prendere aerei o treni infiniti a prezzi smodati, torni a casa per qualche giorno, se non altro in cerca del viso amico di genitori e amici che si sono lasciati indietro, in cerca di coccole e rassicurazioni; non ci si aspetta, dunque, di ritrovare al proprio ritorno una situazione più assurda di quella da cui ci si è presa una momentanea pausa. Insomma, può essere comprensibile, e anche piacevole, il fatto che, una volta scoperto che sei tornato, i tuoi amici facciano a gara per reclamare un briciolo del tuo tempo, quindi si presentino a studiare con te di sabato pomeriggio piuttosto che non vederti... Tralasciando il fatto che poi alla fine non si studia e ci si raccontano tutte le novità, che, sebbene sia partita da soltanto un mese, sono tante e impegnative. La gente sembra un minimo più spontanea, non c'è che dire, perché non hanno poi così tanto tempo da passare con te, e magari capita che, la notte prima che la tua amica spunti a casa tua munita di manuali di programmazione, un ragazzo con cui, da tempo, hai un mezzo flirt di cui mai nessuno ha parlato, faccia un minimo passo avanti per poi ritirarsi subito, perché entrambi avete capito quanto non sia il caso e quanto non ne abbiate neanche più voglia, rendendo la nottata degna della capolista, per lo meno di quest'anno, delle situazioni imbarazzanti, e capita che, quella stessa sera, dopo che la tua amica è infine andata a casa, passi un tuo vecchio amico delle superiori a prenderti in macchina, direttamente dal Lucca Comics, strafatto di caffeina perché stava addormentandosi in autostrada, e che dobbiate cercare un pub non troppo bello in cui siete certi di non incontrare nessuno perché tu, per prevenzione e istinto di autoconservazione, non hai avvertito tutti del tuo ritorno, dunque incontrare proprio queste persone potrebbe essere non piacevole, o comunque distogliervi dalla rievocazione della vostra tipica serata a parlare di scienza e tutti i tuoi argomenti preferiti. 
E così, infine, sembra che a Padova avrò un po' di pace, perché persino ora devo vedere la mia migliore amica, di domenica mattina: cosa si fa pur di non partire senza salutarla, considerando soprattutto il fatto che, nel pre - serata - più - imbarazzante - dell'anno, avete cercato di chiarire una vostra discussione, abbastanza assurda anch'essa. 
Forse c'è altro che potrei dire ma francamente mi sono stancata di scrivere e vorrei fare colazione.
Saluti e alle prossime assurdità

martedì 22 ottobre 2013

Quarta settimana nella città che poi tanto sconosciuta ormai non è più. Avverto i segni del cambiamento reale, quelli che sapevo avrei provato ma senza conoscerne esattamente il sapore.
Mi sto rendendo conto di essermi trasferita, ecco. Tutto ciò che è passato sembra assai lontano e, beh, in un certo senso irreale, ma non come se fossi sempre stata qua. Sembra quasi che mi ci sia svegliata d'un tratto, senza un passato su cui basare le mie esperienze. Non esiste più nulla, tabula rasa, e forse è un bene non tanto perché fosse questo l'iniziale intento con cui ho deciso di cambiare amici, vita e città al momento della mia improvvisa e quasi folle decisione, presa nei primi giorni di settembre in seguito a qualche illuminante e intensa conversazione, visto che, in effetti, sembrava tutto fuorché il momento di cambiare aria: è stato un po' come riordinare una stanza, pulirla in ogni suo più recondito angolo per 23 difficili anni in cui più e più volte si è pensato di lasciar perdere, di lasciarla sporca com'era, ma in fondo, aiutata da una, secondo i miei gusti, discreta dose di fortuna, senza mai mollare, e poi, una volta perfettamente lucidata e riordinata, lasciarla dopo averci vissuto appena qualche minuto. Assurdo, direbbe Marastoni, il teorema non è dimostrato, i calcoli fatti per sistemare ogni cosa sono stati inutili, ora lo devi rifare daccapo. E probabilmente è quello che farò, perché forse non vale tanto la pena di vivere una vita comoda e serena, immobile, quanto costruire ogni giorno qualcosa di nuovo, seppure con fatica e, ogni tanto, crisi di nervi in cui sembra di non farcela più, momenti di totale disperazione, magari persino peggiori di quelli che ho già passati, in cui sono stata estremamente convinta di non poter più tirare avanti in alcun modo. Eccomi qua, invece, a causa del momento più folle o forse più lucido della mia vita, a riprovare, ricreare, rimettermi in gioco.
Non è semplice, neanche un po', i miei nervi sono fragili, e in certi momenti sembra occorra ogni briciola della mia forza pur di non cadere preda di una crisi. La sento vicina e so che mi possiederebbe da un momento all'altro se non fossi concentrata con tutta la mia presenza nel tenerla a bada: un solo istante di distrazione, di cedimento, e rischio seriamente di scoppiare in disperate lacrime nel bel mezzo dell'aula dell'università, maledicendomi per aver dimenticato come si fanno i limiti e i logaritmi, cose in cui tempo
addietro non avevo alcun problema, anzi: fino a meno di un mese fa, ero io l'insegnante di matematica.
Per i miei compagni il difficile è la lezione, poi loro salgono sulla corriera e tornano da amici e genitori. Io salgo sulla bici e passo spesso a fare spesa prima di arrivare a casa, conto i soldi, ed entro in camera con l'unico pensiero che dovrei studiare. E non è finita, perché sì la mia compagna di stanza è una persona stupenda, ma qua ho solo lei, ed inizio a sentire il distacco da tutto il mondo che mi circonda, come se non facessi parte di niente oltre che di questa stanza condivisa. Forse è anche questo un bene, perché dev'essere fondamentale imparare che non è necessario far parte di qualcosa per essere qualcosa, una bella batosta per l'ego; eppure mi sembra di essermi annullata, e di aver stravolto ogni equilibrio, in modo che praticamente ogni cosa si riduce al suo estremo, senza mezzi termini, ed io ho l'impressione di non esistere più, di non essere che un contenitore vuoto, senza troppa fretta di essere riempito.

lunedì 30 settembre 2013

Schemi rotti e sospiri di sollievo

Primo giorno in una città quasi sconosciuta, senza progetti né programmi, fino a domani.
Stamattina mi sveglio presto e carica di energie, come da ormai più di un mese mi capita di essere. Ho un po' di teorie sul perché mi senta così, e probabilmente la verità le comprende tutte quante. Ma non è di questo che volevo parlare.
Ancora non mi rendo conto, probabilmente, di essere venuta qui a vivere. Non a passare qualche settimana da amici, ma a vivere. Ci sono tante cose a cui devo pensare che ovviamente prima avevo considerato relativamente, o, insomma, non mi sembravano così complesse.
Uscire di casa fa rompere ogni schema, ogni punto di riferimento. Quando ti trovi nella tua città, per ogni necessità sai chi chiamare, dove andare. Sembrano cose banali, ma viverle è diverso. Anche dirlo è banale, probabilmente.
Dicevo che, comunque, mi sono svegliata piena di energie, carica per esplorare questo nuovo mondo in cui mi trovo. Esco di casa di buon ora e parto a piedi verso il centro, che non è poi così lontano dalla mia casina che sembra isolata dal mondo, e inizio a registrare nella mia mente ogni particolare di ogni strada che percorro. In un certo senso mi sento già a casa, mi è familiare questo posto, come se ci girassi da anni. In effetti la mia prima visita a Padova è stata breve ma molto intensa, e ricordo ogni strada che ho percorso come se fossero trascorsi due mesi invece che due anni. Che cosa buffa, il tempo.
Queste strade non sono così difficili da imparare. Al termine della mia passeggiata, decido di fermarmi al supermercato a fare la spesa.
Non sono così tranquilla in realtà. Mi rendo conto che, nonostante sia abbastanza corta da fare a piedi, mi servono tante cose e le borse potrebbero diventare pesanti. Sarebbe meglio fermarmi in un posto più vicino, ho già visto che ce ne sono. Niente, qui in Veneto evidentemente non esiste l'uscita senza acquisti. Tanto vale prendere tutto quel che mi serve, la fila è chilometrica; tornerò a casa in autobus.
Gentilissima, la signora della tabaccheria mi indica la fermata dopo avermi venduto il biglietto, ed è mentre mi dirigo verso di essa che la prima borsina biodegradabile del Pam decide di biodegradarsi prima del tempo. Pazienza, era la più piccola, quindi riesco a riporre tutto tra la mia borsa e l'altra sportina e raggiungere la fermata, ed è lì che anche l'altra si rompe. Dentro c'è di tutto. Uova comprese.
Mi metto a raccogliere il possibile, ora agitatissima, e cerco di inventare un modo per ricomporre questa maledetta sportina. Non posso mettere tutto in borsa, non c'è spazio. La fermata pullula di gente, ma a nessuno sembra venire in mente che potrei aver bisogno di una mano.
Telefono al mio coinquilino, quello con la macchina, ma anche lui non da segni di vita.
Alla fine mi si avvicina uno zingaro. Sì, era seduto non molto distante insieme ad una sua compagna, a chiedere l'elemosina. Viene da me e mi indica la fermata dell'autobus, poi va dalla sua amica, si fa passare una borsina un po' più resistente e me la regala. Ringrazio con tutti i sospiri di sollievo che posso immaginare, e riesco ad andare a casa, con un'altro schema rotto nella mia mente, ma sociale, questa volta.

giovedì 26 settembre 2013

Coraggio e amicizia

Un mese particolarmente intenso, quello passato, che a breve si concluderà con la decisione più importante che finora abbia preso. Cambierò casa, cambierò città, così, senza che una ragione specifica mi spinga a farlo. Le ragioni ci sono, ovviamente, ma non di quelle cose strazianti per cui uno se ne deve per forza andare o deve andare proprio là.
Ho scoperto quelle due cose che ho scritto all'inizio, durante questo mese. Banale, direte, non sono concetti a cui si pensa raramente, soprattutto quando si è così interessati ad indagare sui massimi sistemi della vita. Le cose importanti, poi, si scoprono all'improvviso, senza il bisogno di pensarci troppo. Lo leggevo qualche ora fa su un libro di Osho: "avete mai considerato che nessun processo significativo della vita è in rapporto con il pensiero?"
Sto cambiando casa, e città, ed ironicamente, per la prima volta scopro cosa significhi essere amica di qualcuno. Ci si conosce troppo poco, oppure troppo bene. Non c'è giudizio né ragione per cui essere amici, ci si potrebbe tranquillamente evitare e stare certi che non ci si incroci per strada per caso.
E non penso che sia qualcosa di totalmente separato dal coraggio. Ma non fraintendetemi, non sto per cominciare uno di quei discorsi strazianti secondo cui per fidarsi della gente ci vuole coraggio, mettersi in gioco bla bla bla.
Parlo di coraggio e amicizia come due cose unite dal momento in cui, secondo me, un buon presupposto per un'amicizia vera è aver vissuto insieme qualcosa che richiede coraggio, e che non deve per forza riguardare l'altro. Basta essere stati lì, nello stesso momento, nello stesso posto, ed essersi tenuti la mano, anche solo simbolicamente parlando. Magari si stava affrontando la stessa prova, o magari ognuno stava fronteggiando i propri personali demoni, fatto sta che qualcosa è scattato, in quel momento, in entrambi, insieme.
Questo è accaduto, nella scorsa estate, con due persone in particolare, tre, forse. Finalmente amo nel senso più ampio, finalmente conosco qualcuno davvero. Un'unione che non lega, che non impedisce l'esistenza di tutto il resto, che rende possibile l'essere davvero felici o tristi per qualcun altro. Sembra banale, sembra scontato. Tutti dicono di provare questo per i propri amici, figli, parenti, fidanzati.
Quanti lo provano davvero?

domenica 15 settembre 2013

Il mare e l'amore per gli alberi di Natale

Mi sono innamorata, come ci si innamora del mare o di una tempesta.
Mi sono innamorata, ma non di una persona in particolare, non nel senso convenzionale. Non è facile spiegarlo.
Si pensa all'innamoramento come una cosa romantica e struggente, in certi frangenti, occhi sognanti e lacrime di gioia, poesie d'amore sotto le coperte, quando fa freddo. Altrimenti, si può fare anche senza coperte. Se la mano trema, scrivere non è semplice.
Ad un certo punto ho aperto gli occhi, e ho ritrovato quell'infinito che non conoscevo da quando ero poco più di una ragazzina, e per la prima volta ho avuto l'impressione che il mondo fosse finito. Forse era la seconda volta, ora che ci penso meglio, forse la terza. Ma quella è stata proprio drastica; quella volta, ho preso le mie emozioni e le ho rinchiuse in un materiale isolante, ho preso la mia salute mentale e l'ho messa in mano di sconosciuti. Non so perché lo feci, so che non mi ripresi per anni, però. Fino ad ora.
Il mondo è cambiato, e nonostante tutto penso di non essermi mai più innamorata.
Ma qua serve concentrazione, perché non è un concetto semplice da spiegare. Abbiamo già detto che non intendo l'innamoramento come quel che si pensa in genere, nel senso comune della cosa, quella che gli psicologi dicono sia la fase che precede l'amore, in cui si ama un'ideale. Intendo dire che sento di nuovo la vita, vedo i colori, e la persona che mi ha fatto tutto questo non è idealizzata nella mia testa. Forse si potrebbe definire più che altro un tramite, una fonte di ispirazione.
Amare la vita attraverso qualcuno. Forse è questo il grande amore di cui parlano poemi e storie, quello in cui si trova una sorta di realizzazione e che trascende ogni sciocchezza che la mente ci impone. Un po' come parlare delle pietre focaie: indispensabili perché venga acceso il fuoco, anche se da sole non scaldano molto. Almeno fino all'invenzione dell'accendino, si intende.
Guardo indietro, e al presente, e non posso non notare un filo conduttore, perfettamente sensato anche se non immediatamente individuabile, che guida tutto fin dal principio. Non c'è molto da fare: la vita ti indica in tutti i modi la strada da seguire, e devi soltanto coglierlo, non perderti, non dimenticare.
Ogni singolo istante ha un senso, ogni momento, ogni parola: che succeda di proposito o no, è irrilevante. E cogliere tutto è certo impegnativo, ma io sono convinta che sia buona cosa fidarsi. Un po' come dicono i maestri zen e i mistici in generale: lasciarsi guidare dalla corrente, non nuotarvi contro.
Questo non significa non ribellarsi, ed è facile confondersi. Significa che il significato di ogni cosa, così come la soluzione ai nostri problemi e la via per la felicità, ci danzano davanti con pailettes e lucine intermittenti, un po' come Matthew Bellamy fa ai concerti: bisogna solo accorgersene, e non è nemmeno troppo difficile. Magari si tende a distogliere lo sguardo, perché in effetti non tutti sono mentalmente aperti, ed un immagine così può lasciare parecchio perplessi; o non tutti sono particolarmente svegli, e tendono a scambiare il cantante dei Muse con un albero di Natale.
Il bello è che, una volta presa visione e accettato, seppure con un certo livello di esasperazione, tutto questo, non è più necessario preoccuparsi. Il mondo continuerà a scorrere come ha sempre fatto e, per quanto non si smetta mai di sorprendersi, sembrerà tutto più leggero, magari frivolo e certamente sensato. Oppure no. Ma non discutiamo sul significato della parola "senso", il festival della filosofia è finito, grazie al cielo.
Tutto è bello e brutto allo stesso tempo, tutto ciò che deve accadere accadrà, in un modo o nell'altro. Tiriamo un sospiro di sollievo. Si può essere innamorati, e non distruggersi per questo, per quanto possibile o impossibile sia questo amore.
Io penso e sorrido, anche se con un briciolo di malinconia: come quando, a fine Agosto delle estati in cui non ero costretta a rimanere a casa, tornavo dal mare, nostalgica ma carica di nuova energia.

martedì 7 maggio 2013

Siamo talmente abituati a vivere in mezzo all'ingiustizia, che quando qualcuno ci fa notare quello che sarebbe giusto, sensato fare, lo prendiamo per un pazzo.
Le soluzioni a certi problemi sono talmente facili, talmente a portata di mano, che non ci sogniamo neanche di  metterle in pratica. Perché se è semplice, se chiunque potrebbe riuscirci, allora non funziona: è questo che ci hanno insegnato. Perché se noi sapessimo che possiamo risolvere le cose da soli, in poco tempo e con la minima spesa, allora a cosa servirebbe tutto ciò che è stato creato, dai supermercati, alle banche, alla burocrazia?
Il senso della giustizia ci è stato tolto, o abbiamo preferito perderlo. Siamo ridotti a uno stato in cui solo gli sciocchi, ingenui, fanno la cosa giusta, quella che non fa del male a nessuno. Per me ognuno può fare ciò che vuole, ma evitare almeno di insultare e mortificare chi è un po' più buono e meno "furbo", sarebbe carino.

venerdì 3 maggio 2013

Robot

Vedo robot ovunque, neanche fossi in un film di fantascienza. Scusate, il contenuto di questo post sarà analogo a quello precedente, per certi versi, ma forse è necessario insistere. Accidenti, mai fatto caso a quanti perfetti stereotipi ci vediamo girare attorno?
Potrei fare un mucchio di esempi, ma qualcuno si potrebbe offendere, perché pare che basti usare una parola per offendere un'intera categoria, anche se non si ha detto niente contro di loro. E' solo perché sono stati nominati, che partono subito in quarta come quando nei giochini di strategia imposti un gruppo di guerrieri su modalità "aggressivo".
Ma non parlo solo dell'aggressività, in vero, mi riferisco a tutto. Forse invece che un gioco di strategia avrei dovuto nominare The Sims: parolina magica e agiscono, senza neanche domandarsi cosa li abbia spinti a farlo. Tutti dicono che se succede una determinata cosa tu devi reagire in un determinato modo, e anche se in realtà non ti importa, reagisci così lo stesso.
Ti dicono che tradire il partner è sbagliato, e se il tuo partner ti tradisce tu ti arrabbi, anche se in realtà ti sta bene. Ti dicono che ricevere un regalo è bello, e a te magari il regalo non  piace, o non ti serve, ma sei comunque contento.
Non parlo di emozioni profonde, ovviamente, parlo di quelle sensazioni così superficiali in cui anche il più insensibile trova qualcosa di strano, qualcosa che manca. Si sa che dentro non le si stanno provando, eppure è come se una forza esterna ci stesse costringendo a piegare labbra e sopracciglia a seconda dell'occasione.
Si ripetono le stesse frasi, gli stessi movimenti e atteggiamenti visti fare da qualcun altro, in tv magari. Certe cose non fanno ridere, eppure si ride, certe altre non hanno nulla di commovente, eppure si piange.
E non credo che tutti si comportino così per attirare l'attenzione, no, penso che proprio lo facciano in automatico. Abbiamo una testa, un cuore e un corpo che sono la nostra unica, vera e propria proprietà privata, e cosa ne facciamo? Li parcheggiamo in balìa degli eventi, senza alcuna protezione, mentre noi siamo troppo occupati in non si sa bene cosa.

martedì 30 aprile 2013

Diventiamo computer per un po'

Facciamo finta di essere dei computer, per un attimo. I computer, come mi disse una prof di matematica, sono dei "cretini che vanno veloci". Ciò vuol dire che sono programmati con una certa logica, e in base a questa logica interpretano le informazioni e i comandi che gli vengono forniti. Se la persona sbaglia nel fornire suddette informazioni o comandi, il computer non capiscono e si impallano, oppure fanno qualcos'altro, se erroneamente è stato fornito un comando o informazione diversa da quella voluta.
Dunque, fingiamo per un momento di funzionare nello stesso modo. Ogni volta che qualcuno sbaglia a formulare una domanda o una frase, noi gli diamo la risposta sbagliata, oppure rimaniamo attoniti a fissarlo come se avesse parlato in una lingua che non conosciamo. Al massimo possiamo buttargli lì un "non ho capito", guardandolo come se fosse un perfetto imbecille.
Succede, vero? A chi non è mai capitato di trovarsi davanti a questo tipo di persone, che senza un minimo di elasticità interpretano a macchinetta ogni parola. Sembra quasi che ti prendano per il culo. Perché come possono non aver capito, nonostante un piccolo errore grammaticale o una parolina inesatta, quello che hai detto?
Le uniche risposte possibili sono: ti prendono per il culo davvero, o ragionano come dei computer.
Non tutti sono provvisti di elasticità mentale, e a volte chi ne è provvisto finge di non esserlo per puro divertimento, o perché è convinto di insegnarti qualcosa.
Tutto ciò che conosciamo, che impariamo a scuola, non è elastico. Tutto è logico, anche se la logica è a volte talmente complicata che non tutti riescono a coglierla. E quando la si comprende, è meraviglioso.
Ma noi non siamo stati programmati, o almeno, non dovremmo. Certo chi prova a programmare le nostre menti esiste. Tuttavia, se è vero che i nostri amati pc non possono rivendicare la propria autonomia, è anche vero che c'è ancora un essere umano in noi, che può scegliere quando usare la logica e quando non farlo.
Possiamo cercare di capire, quando qualcuno sbaglia. Possiamo anche cercare di capire quando siamo noi a sbagliare.

lunedì 29 aprile 2013

Salve

Vediamo se riesco a capire come si usa questa cosa.
Non tengo un blog dai tempi di Netlog e Msn, quando ero giovane e ingenua, e postavo cose strappalacrime da tipica adolescente disadattata.
Disadattata lo sono ancora, probabilmente, tipica adolescente forse un po' meno: forse un po' meno adolescente e forse un po' meno tipica. 
Sul serio, non ho idea di cosa ci verrà fuori, nè dal blog nè da me: pensavo solo che sarebbe carino condividere qualcosa con ignote persone che per puro caso capiteranno a leggere questa pagina. 
Non vi dirò chi sono, dove abito, nè perchè mi faccio chiamare Wonka: ma per l'amor del cielo, se non sapete da dove è tratto questo nome, fate ricerche approfondite o sparite subito da qui.
Per stasera, dopo l'assurda giornata che ho vissuto, penso che sia tutto.