martedì 22 ottobre 2013

Quarta settimana nella città che poi tanto sconosciuta ormai non è più. Avverto i segni del cambiamento reale, quelli che sapevo avrei provato ma senza conoscerne esattamente il sapore.
Mi sto rendendo conto di essermi trasferita, ecco. Tutto ciò che è passato sembra assai lontano e, beh, in un certo senso irreale, ma non come se fossi sempre stata qua. Sembra quasi che mi ci sia svegliata d'un tratto, senza un passato su cui basare le mie esperienze. Non esiste più nulla, tabula rasa, e forse è un bene non tanto perché fosse questo l'iniziale intento con cui ho deciso di cambiare amici, vita e città al momento della mia improvvisa e quasi folle decisione, presa nei primi giorni di settembre in seguito a qualche illuminante e intensa conversazione, visto che, in effetti, sembrava tutto fuorché il momento di cambiare aria: è stato un po' come riordinare una stanza, pulirla in ogni suo più recondito angolo per 23 difficili anni in cui più e più volte si è pensato di lasciar perdere, di lasciarla sporca com'era, ma in fondo, aiutata da una, secondo i miei gusti, discreta dose di fortuna, senza mai mollare, e poi, una volta perfettamente lucidata e riordinata, lasciarla dopo averci vissuto appena qualche minuto. Assurdo, direbbe Marastoni, il teorema non è dimostrato, i calcoli fatti per sistemare ogni cosa sono stati inutili, ora lo devi rifare daccapo. E probabilmente è quello che farò, perché forse non vale tanto la pena di vivere una vita comoda e serena, immobile, quanto costruire ogni giorno qualcosa di nuovo, seppure con fatica e, ogni tanto, crisi di nervi in cui sembra di non farcela più, momenti di totale disperazione, magari persino peggiori di quelli che ho già passati, in cui sono stata estremamente convinta di non poter più tirare avanti in alcun modo. Eccomi qua, invece, a causa del momento più folle o forse più lucido della mia vita, a riprovare, ricreare, rimettermi in gioco.
Non è semplice, neanche un po', i miei nervi sono fragili, e in certi momenti sembra occorra ogni briciola della mia forza pur di non cadere preda di una crisi. La sento vicina e so che mi possiederebbe da un momento all'altro se non fossi concentrata con tutta la mia presenza nel tenerla a bada: un solo istante di distrazione, di cedimento, e rischio seriamente di scoppiare in disperate lacrime nel bel mezzo dell'aula dell'università, maledicendomi per aver dimenticato come si fanno i limiti e i logaritmi, cose in cui tempo
addietro non avevo alcun problema, anzi: fino a meno di un mese fa, ero io l'insegnante di matematica.
Per i miei compagni il difficile è la lezione, poi loro salgono sulla corriera e tornano da amici e genitori. Io salgo sulla bici e passo spesso a fare spesa prima di arrivare a casa, conto i soldi, ed entro in camera con l'unico pensiero che dovrei studiare. E non è finita, perché sì la mia compagna di stanza è una persona stupenda, ma qua ho solo lei, ed inizio a sentire il distacco da tutto il mondo che mi circonda, come se non facessi parte di niente oltre che di questa stanza condivisa. Forse è anche questo un bene, perché dev'essere fondamentale imparare che non è necessario far parte di qualcosa per essere qualcosa, una bella batosta per l'ego; eppure mi sembra di essermi annullata, e di aver stravolto ogni equilibrio, in modo che praticamente ogni cosa si riduce al suo estremo, senza mezzi termini, ed io ho l'impressione di non esistere più, di non essere che un contenitore vuoto, senza troppa fretta di essere riempito.

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