Non conoscevo tanto bene Nicolò. Lo conoscevo abbastanza.
Il messaggio che annunciava la sua morte è stato come un pugno nel petto, che poi si è propagato in tutto il corpo, facendomi sobbalzare indietro. Poi è passato. Ma ero dispiaciuta, non del tutto sorpresa.
Gli pensavo spesso negli ultimi giorni, non so bene perché. Il suo libro che mi capita per caso sottomano, un simpatico ricordo dell'ultimo incontro con lui e la sua ragazza, le sue poesie per le donne, che mi hanno tenuto compagnia in un momento di smarrimento negli ultimi giorni che ho passato a Padova, quando mi chiedevo cosa avessi voglia di fare, perché non volevo restare né tornare, perché avevo deciso di passare lì qualche giorno per augurare a tutti buona estate, ma nessuno aveva tempo di incontrarmi. Quel giorno le sue poesie mi avevano un po' scaldato il cuore.
Gli volevo bene, in qualche modo. Nicolò era come una pausa dalla comune banalità, una fresca risata per un intervento del suo blog, quando faceva sembrare teatrali comuni avvenimenti di vita quotidiana, fiato sospeso ed emozioni improvvise, a me, che non ho mai avuto una gran sensibilità per la poesia.
Invece le sue le leggevo ad alta e bassa voce, e guardavo gli amici che ascoltavano come a dire "sentito che bello?".
Quando lo incontravo per caso, mi salutava gentile, e gli interessava tutto, tutto quello che avevo da dire. Mi ha dato un consiglio prezioso, anni fa, quando io studiavo anatomia per un esame che non avrei mai dato, e lui si prendeva una pausa dal suo lavoro di bibliotecario.
Le parole dei suoi versi risuonano continuamente in me in questi giorni.
La notizia dell'accaduto non mi ha sorpresa, ma mi ha colpita, certo.
Una faccenda strana, un po' surreale, una faccenda che ha lasciato me, come tanti, senza parole.
Ho sentito commenti strani, giudizi, e sento l'assurdità del nostro comportamento in tutto questo. Quasi fossimo obbligati, di fronte ad un evento, ad avere un opinione e sbandierarla al mondo.
Dal canto mio, mi sento di dire che un opinione, un giudizio, non è che una fuga dal senso reale, una parzializzazione dell'accaduto, perché faccia meno male, per poterlo giustificare. Perché non siamo in grado di guardare le cose, vedere come sono, accettare che a volte non c'è un'intenzione, una colpa, un peccato. Parliamo, ritualizziamo, per dare una forma dove una forma non c'è.
E ci credo che lo facciamo, se non lo facessimo potremmo impazzire.
Dal canto mio, se anche ho un'opinione non ci tengo ad esprimerla, so che non è il fulcro della situazione, mi limito a osservare.
Il fulcro è che Nicolò non c'è più, e adesso sono un po' triste, e penso che il mondo abbia perso un grande talento, un grande scrittore, una persona intelligente e originale, un amico simpatico e gentile.
Ti dirò, Nicolò, che forse capisco, e ti lascio andare.
Wonka's Space
Probabilmente posterò riflessioni strane, probabilmente parlerò di libri fantasy.
lunedì 6 luglio 2015
venerdì 26 giugno 2015
Accorgerci
Mi ritrovo a pensare alle persone che conosco, che ho visto. Le persone si comportano in certi modi, che ci sforziamo di capire, reagiscono.
Sapete cosa mi pare di capire? Che solo le persone che hanno un briciolo di razionalità siano in grado di proseguire. Le altre, passano la vita a girare attorno ad un fatto, un problema. Ripetono lo stesso errore, e non si interrogano.
Come si può trascorrere una vita a non interrogarsi sul cosa sta succedendo e perchè? Come si occupa il proprio tempo altrimenti?
Si imparano due o tre principi quando si è bambini, li si danno per assodati, e si prosegue in quel modo per l'eternità, finchè morte non sopraggiunge?
E poi, c'è chi dice che non vuole rendersi conto di quando morirà. Come se la vita fosse solo un tirare a campare, cercando di accorgersi di meno cose possibile, addirittura il momento più importante, quello che davvero, per quanto ne sappiamo, arriverà una volta sola. Per il tempo che passiamo qui, pensiamo ad alcuni principi e cerchiamo di portarli a termine, perchè ci hanno detto che solo così vivremo una vita dignitosa. E di quante cose diverse lo dicono. Anni fa bisognava diventare soldati, per aver vissuto una vita dignitosa.
Non dovremmo fare niente, solo quello che ci va vale la pena di essere fatto. Invece dovremmo accorgerci. Di tutto, di noi, degli altri, degli animali, delle piante e dei sassi. E del divano su cui siamo seduti quando, dopo un film di Woody Allen, sfoghiamo ciò che ci attraversa il cervello in un blog. E dovremmo accorgerci del blog, e di Woody Allen, e di quello che stiamo facendo. Senza neanche spiegarcelo, solo vederlo.
Sapete cosa mi pare di capire? Che solo le persone che hanno un briciolo di razionalità siano in grado di proseguire. Le altre, passano la vita a girare attorno ad un fatto, un problema. Ripetono lo stesso errore, e non si interrogano.
Come si può trascorrere una vita a non interrogarsi sul cosa sta succedendo e perchè? Come si occupa il proprio tempo altrimenti?
Si imparano due o tre principi quando si è bambini, li si danno per assodati, e si prosegue in quel modo per l'eternità, finchè morte non sopraggiunge?
E poi, c'è chi dice che non vuole rendersi conto di quando morirà. Come se la vita fosse solo un tirare a campare, cercando di accorgersi di meno cose possibile, addirittura il momento più importante, quello che davvero, per quanto ne sappiamo, arriverà una volta sola. Per il tempo che passiamo qui, pensiamo ad alcuni principi e cerchiamo di portarli a termine, perchè ci hanno detto che solo così vivremo una vita dignitosa. E di quante cose diverse lo dicono. Anni fa bisognava diventare soldati, per aver vissuto una vita dignitosa.
Non dovremmo fare niente, solo quello che ci va vale la pena di essere fatto. Invece dovremmo accorgerci. Di tutto, di noi, degli altri, degli animali, delle piante e dei sassi. E del divano su cui siamo seduti quando, dopo un film di Woody Allen, sfoghiamo ciò che ci attraversa il cervello in un blog. E dovremmo accorgerci del blog, e di Woody Allen, e di quello che stiamo facendo. Senza neanche spiegarcelo, solo vederlo.
venerdì 18 luglio 2014
Cronache del pre-partenza di una viaggiatrice maldestra e tergiversante
E chi volete che sia codesta persona?
Si parte domani per la Slovenia e, chissà, anche la Croazia? Intraprenderemo questo piccolo viaggio senza aver prenotato nulla, fatta eccezione per un'informale e-mail scritta in un inglese sconveniente, che funge pressapoco da "Ehi, mi sa che ci saremo anche noi 3 giorni in campeggio!". Dopo questo campeggio, poi, che si fa? Ci sono tante idee sparse, ma di deciso ancora niente.
Non è questo che mi preoccupa.
Come ogni benedetto giorno prima di partire, la mia mente va in loop quantico, idee di ogni tipo vengono sparate a destra e a manca quando in realtà dovrei pensare ad un esame, ma la testa si chiede, come se non ci fosse nulla al mondo di più importante, come si prepareranno gli involtini primavera perfetti?
Aggiungiamo il fatto che, stavolta, non si parte insieme a qualche svampito del mio livello, ma con una persona che di viaggi ne ha fatti parecchi, e molto più in la della somma della strada che probabilmente hanno fatto in una vita i miei genitori. Insomma, uno che sa cosa fare.
Aiuto.
Cerco così di stare calma ed organizzarmi con la meticolosità di cui raramente sono padrona. Una cosa per volta, come suggerisco spesso ai miei allievi. Ecco che però la sera prima dell'esame mi ritrovo a contare i soldi nel portafogli, chiedendomi se basteranno, e mentre faccio spesa compro un chilo di pasta, così, per sicurezza...Una lavatrice frettolosa con dentro capi dai colori più svariati, pregando che non tingano tutto, ed infine il fatidico momento: la preparazione della valigia. Che poi in realtà è una borsa da palestra, perchè la valigia sembra eccessiva... lo zaino, beh, non ce l'ho.
Sembra necessario mettere intanto ordine in stanza, per trovare tutto quello che mi serve, e, perchè no, in cucina, perchè stasera il suddetto viaggiatore è ospite qui e non vorrei mai fargli trovare la cucina in questo stato...
Dopodichè tocca alla stanza. Ma prima si travasa il sapone nei bottiglini del tutto a 1euro... poi ci si accorge che non è necessario portare due saponi per il corpo, ed il sapone intimo serve di più: rifare tutti i travasi necessari. Salviette, amichina, dentifricio, spazzolino... ok, il beauty case è pronto. Come minimo lo lascerò qua.
Nel frattempo l'amico mi ricorda che pioverà e mi esorta a preparare i bagagli prima che venga sera, così posso pensare a fare gli involtini come si deve. Penso che abbia assolutamente ragione e mi metto di impegno: la camera è ok, so dov'è tutto... Alcune cose ancora sono stese ad asciugare, ma non è un grosso problema. Non sembra difficile.
Posso fermarmi a fare uno spuntino. E controllare la home di facebook. Mi assale una fame pazzesca, quindi via di gallette di riso e cioccolata finchè l'adrenalina dell'esame svanisce, il mio corpo si fa pesante e mi butto sul letto a fare un pisolino.
Quando riapro gli occhi, un'ora e mezza dopo, mi dico che è seriamente giunto il momento di darmi da fare. Chiedo consiglio a mia madre ed alla mia migliore amica, che ne sa certamente più di me, ed ecco che ho idee molto chiare, ma subito le dimentico.
Disperata, digito su google "come fare una valigia". Trovo un'abnorme quantità di blog femminili che elencano i trucchi, creme, cremine, borsette ed accessori che non possono mancare. Accidenti, sto andando in campeggio. E, come ho detto, il beauty è l'unica cosa pronta.
Finalmente ne trovo uno affidabile, ed il primo consiglio che leggo è"preparare una lista delle cose che servono". Sì, mi sembra congegnale, quindi quel che devo fare è prendere carta e penna... Ma non li trovo. Non ho messo poi così in ordine.
Una volta estratti dal caos, stilo finalmente la mia lista. è più lunga del previsto... molto più lunga del previsto. Guardo la borsa con sospetto, sentendo nel profondo del mio animo che non ci starà mai tutto. Decido di mangiare qualcosa prima di iniziare, ma poi mi ritrovo a contare meticolosamente le mutande. Si vede che il momento è questo. Comincio. 3 canotte ho scritto... esclusa quella che indosserò domani, si intende. 2 paia di pantaloncini. Però voglio anche il terzo. E senza quella t-shirt come posso partire? Vado avanti così, come sempre, per poi accorgermi che la borsa è fatidicamente piena. Sono a buon punto della lista, ma mancano le cose più ingombranti. Panno, giacca, felpa. O felpe. Devo ancora decidere. Intanto posso constatare di aver sistemato tutto nella maniera più stupida possibile, con le cose più necessarie sul fondo, sotto a tutto. D'altronde sono le più necessarie. Le prime a cui si pensa. Le prime che si prendono. Ha senso in effetti.
Adesso però è davvero tardi, e sono praticamente costretta ad andare a cucinare. Dopo dovrò disfare e rifare tutto. Come ha detto la mamma: prima sul letto, poi in valigia. Perchè non ascolto mai nessuno?
Finito di mangiare, sono troppo stanca per vuotare la borsa e rifare tutto, quindi decido di bere un te caldo e dare un'altra occhiata al mio profilo di facebook. Trovo online un amico che non sento da mesi e decido di tergiversare ulteriormente attaccandogli pezza, finchè non arrivano le 15.30 e devo scappare a dare ripetizioni. La borsa, nessuno l'ha toccata.
Torno a casa dalla straziante lezione, in cui il ragazzino sembra capire poco e niente, e mi butto sugli involtini primavera. Tra taglio verdure, preparazione pastella, cottura verdure, preparazione crepes, questo richiede più di un'ora. Non fosse che le padelle antiaderenti presenti nella mia casa sono qualcosa di impresentabile, e non esce una crepes che sia una. Continuano a rompersi. Merda.
Ritento con un'altra pastella. Ritento con un'altra padella. Niente. Merda merda merda.
Forse, mi dico, è ora di dedicarsi a qualcos'altro. La borsa? No, la doccia.
L'amico, nel frattempo, annuncia un confortante ritardo di un'ora e mezza. Tiro un sospiro di sollievo, felice del fatto che non mi troverà in questo stato pietoso.
Esco dalla doccia con la brillante idea di usare la pastella dei samosa, che non ha bisogno di essere cotta in padella prima di fare gli involtini. Preparo quella, che deve riposare in frigo per un'ora. Tra me e la borsa, ora, non c'è niente.
Mi costringo a vuotarla e buttare tutto sul letto, e togliere tutto ciò che è superfluo, e aggiungere quel che manca: dopo qualche avanti- indietro tra letto e armadio, guardo il letto sconcertata. C'è più roba di prima. Tolgo un po' di cose che in effetti non servono, altre, le metto nello zaino; d'altronde, è più pratico portare lo zaino che la borsetta. Giusto?
Ricontrollo il blog di prima, sperando in consigli utili. "Puoi restringere la scelta portando solo vestiti che si abbinano tra loro". Questo è interessante. "Pensa a che tempo farà e a quali attività ti dedicherai". Ed io che accidenti ne so? Non so nemmeno dove vado.
Disperata, accendo un po' di musica chillout, e vuoto di nuovo tutto. Cerco di abbinare i vestiti e ne ho di nuovo più di prima. Tolgo il pannetto, a cui sono affezionata ma in effetti non serve. Ho già il sacco a pelo. Tolgo i jeans. Non servono. Siamo a luglio. Mi faccio una tisana alla melissa. E chiamo la mamma, così, per sicurezza.
Fortunatamente, almeno una di queste attività ha finalmente il suo effetto, e mi sento un po' più calma. Trovo il modo di piegare tutto facendogli occupare poco spazio, ricordo i consigli di amica, mamma e blog e d'un tratto tutto coincide. Chiudo la borsa con un leggero tremito, sperando che sia veramente a posto. Anzi no. Mancano i sandali. Anzi no. Li indosserò durante il viaggio.
Chiudo la borsa con un tremito, dicevo, e mi sembra giunta l'ora di completare quegli involtini-samosa, che se non saranno buoni ucciderò qualcuno.
Auguratemi un viaggio migliore della sua preparazione.
Si parte domani per la Slovenia e, chissà, anche la Croazia? Intraprenderemo questo piccolo viaggio senza aver prenotato nulla, fatta eccezione per un'informale e-mail scritta in un inglese sconveniente, che funge pressapoco da "Ehi, mi sa che ci saremo anche noi 3 giorni in campeggio!". Dopo questo campeggio, poi, che si fa? Ci sono tante idee sparse, ma di deciso ancora niente.
Non è questo che mi preoccupa.
Come ogni benedetto giorno prima di partire, la mia mente va in loop quantico, idee di ogni tipo vengono sparate a destra e a manca quando in realtà dovrei pensare ad un esame, ma la testa si chiede, come se non ci fosse nulla al mondo di più importante, come si prepareranno gli involtini primavera perfetti?
Aggiungiamo il fatto che, stavolta, non si parte insieme a qualche svampito del mio livello, ma con una persona che di viaggi ne ha fatti parecchi, e molto più in la della somma della strada che probabilmente hanno fatto in una vita i miei genitori. Insomma, uno che sa cosa fare.
Aiuto.
Cerco così di stare calma ed organizzarmi con la meticolosità di cui raramente sono padrona. Una cosa per volta, come suggerisco spesso ai miei allievi. Ecco che però la sera prima dell'esame mi ritrovo a contare i soldi nel portafogli, chiedendomi se basteranno, e mentre faccio spesa compro un chilo di pasta, così, per sicurezza...Una lavatrice frettolosa con dentro capi dai colori più svariati, pregando che non tingano tutto, ed infine il fatidico momento: la preparazione della valigia. Che poi in realtà è una borsa da palestra, perchè la valigia sembra eccessiva... lo zaino, beh, non ce l'ho.
Sembra necessario mettere intanto ordine in stanza, per trovare tutto quello che mi serve, e, perchè no, in cucina, perchè stasera il suddetto viaggiatore è ospite qui e non vorrei mai fargli trovare la cucina in questo stato...
Dopodichè tocca alla stanza. Ma prima si travasa il sapone nei bottiglini del tutto a 1euro... poi ci si accorge che non è necessario portare due saponi per il corpo, ed il sapone intimo serve di più: rifare tutti i travasi necessari. Salviette, amichina, dentifricio, spazzolino... ok, il beauty case è pronto. Come minimo lo lascerò qua.
Nel frattempo l'amico mi ricorda che pioverà e mi esorta a preparare i bagagli prima che venga sera, così posso pensare a fare gli involtini come si deve. Penso che abbia assolutamente ragione e mi metto di impegno: la camera è ok, so dov'è tutto... Alcune cose ancora sono stese ad asciugare, ma non è un grosso problema. Non sembra difficile.
Posso fermarmi a fare uno spuntino. E controllare la home di facebook. Mi assale una fame pazzesca, quindi via di gallette di riso e cioccolata finchè l'adrenalina dell'esame svanisce, il mio corpo si fa pesante e mi butto sul letto a fare un pisolino.
Quando riapro gli occhi, un'ora e mezza dopo, mi dico che è seriamente giunto il momento di darmi da fare. Chiedo consiglio a mia madre ed alla mia migliore amica, che ne sa certamente più di me, ed ecco che ho idee molto chiare, ma subito le dimentico.
Disperata, digito su google "come fare una valigia". Trovo un'abnorme quantità di blog femminili che elencano i trucchi, creme, cremine, borsette ed accessori che non possono mancare. Accidenti, sto andando in campeggio. E, come ho detto, il beauty è l'unica cosa pronta.
Finalmente ne trovo uno affidabile, ed il primo consiglio che leggo è"preparare una lista delle cose che servono". Sì, mi sembra congegnale, quindi quel che devo fare è prendere carta e penna... Ma non li trovo. Non ho messo poi così in ordine.
Una volta estratti dal caos, stilo finalmente la mia lista. è più lunga del previsto... molto più lunga del previsto. Guardo la borsa con sospetto, sentendo nel profondo del mio animo che non ci starà mai tutto. Decido di mangiare qualcosa prima di iniziare, ma poi mi ritrovo a contare meticolosamente le mutande. Si vede che il momento è questo. Comincio. 3 canotte ho scritto... esclusa quella che indosserò domani, si intende. 2 paia di pantaloncini. Però voglio anche il terzo. E senza quella t-shirt come posso partire? Vado avanti così, come sempre, per poi accorgermi che la borsa è fatidicamente piena. Sono a buon punto della lista, ma mancano le cose più ingombranti. Panno, giacca, felpa. O felpe. Devo ancora decidere. Intanto posso constatare di aver sistemato tutto nella maniera più stupida possibile, con le cose più necessarie sul fondo, sotto a tutto. D'altronde sono le più necessarie. Le prime a cui si pensa. Le prime che si prendono. Ha senso in effetti.
Adesso però è davvero tardi, e sono praticamente costretta ad andare a cucinare. Dopo dovrò disfare e rifare tutto. Come ha detto la mamma: prima sul letto, poi in valigia. Perchè non ascolto mai nessuno?
Finito di mangiare, sono troppo stanca per vuotare la borsa e rifare tutto, quindi decido di bere un te caldo e dare un'altra occhiata al mio profilo di facebook. Trovo online un amico che non sento da mesi e decido di tergiversare ulteriormente attaccandogli pezza, finchè non arrivano le 15.30 e devo scappare a dare ripetizioni. La borsa, nessuno l'ha toccata.
Torno a casa dalla straziante lezione, in cui il ragazzino sembra capire poco e niente, e mi butto sugli involtini primavera. Tra taglio verdure, preparazione pastella, cottura verdure, preparazione crepes, questo richiede più di un'ora. Non fosse che le padelle antiaderenti presenti nella mia casa sono qualcosa di impresentabile, e non esce una crepes che sia una. Continuano a rompersi. Merda.
Ritento con un'altra pastella. Ritento con un'altra padella. Niente. Merda merda merda.
Forse, mi dico, è ora di dedicarsi a qualcos'altro. La borsa? No, la doccia.
L'amico, nel frattempo, annuncia un confortante ritardo di un'ora e mezza. Tiro un sospiro di sollievo, felice del fatto che non mi troverà in questo stato pietoso.
Esco dalla doccia con la brillante idea di usare la pastella dei samosa, che non ha bisogno di essere cotta in padella prima di fare gli involtini. Preparo quella, che deve riposare in frigo per un'ora. Tra me e la borsa, ora, non c'è niente.
Mi costringo a vuotarla e buttare tutto sul letto, e togliere tutto ciò che è superfluo, e aggiungere quel che manca: dopo qualche avanti- indietro tra letto e armadio, guardo il letto sconcertata. C'è più roba di prima. Tolgo un po' di cose che in effetti non servono, altre, le metto nello zaino; d'altronde, è più pratico portare lo zaino che la borsetta. Giusto?
Ricontrollo il blog di prima, sperando in consigli utili. "Puoi restringere la scelta portando solo vestiti che si abbinano tra loro". Questo è interessante. "Pensa a che tempo farà e a quali attività ti dedicherai". Ed io che accidenti ne so? Non so nemmeno dove vado.
Disperata, accendo un po' di musica chillout, e vuoto di nuovo tutto. Cerco di abbinare i vestiti e ne ho di nuovo più di prima. Tolgo il pannetto, a cui sono affezionata ma in effetti non serve. Ho già il sacco a pelo. Tolgo i jeans. Non servono. Siamo a luglio. Mi faccio una tisana alla melissa. E chiamo la mamma, così, per sicurezza.
Fortunatamente, almeno una di queste attività ha finalmente il suo effetto, e mi sento un po' più calma. Trovo il modo di piegare tutto facendogli occupare poco spazio, ricordo i consigli di amica, mamma e blog e d'un tratto tutto coincide. Chiudo la borsa con un leggero tremito, sperando che sia veramente a posto. Anzi no. Mancano i sandali. Anzi no. Li indosserò durante il viaggio.
Chiudo la borsa con un tremito, dicevo, e mi sembra giunta l'ora di completare quegli involtini-samosa, che se non saranno buoni ucciderò qualcuno.
Auguratemi un viaggio migliore della sua preparazione.
giovedì 6 febbraio 2014
Dire ai Guru che sono incoerenti
Quella di cui mi accingo a parlare non è certo una novità. Anzi, penso di potermi permettere di dire che l'argomento che vado a trattare oggi sia niente meno che un "classico senza tempo", come si suol dire.
Non so esattamente spiegare il motivo per cui sento il bisogno di giustificare, in qualche modo, questa assenza di originalità negli argomenti trattati, visto che, in tutta franchezza, sono perfettamente a mio agio con questa cosa: non che non senta il bisogno di essere originale a tutti i costi, anzi, ne sono vittima come tutti gli esseri umani che siano un attimo proiettati verso l' "andare oltre", il fare "di più" di quel che la vita mondana richiede loro. Certo è che non avverto questo bisogno in questo preciso momento, anche perché, se lo sentissi, probabilmente parlerei di qualcos'altro, oppure mi dedicherei ad attività diverse dallo scrivere un blog, tipo fumare il narghilè allo zenzero mentre studio meccanica quantistica in lingua armenica. Sono cose che succedono.
C'è inoltre da considerare una frase molto saggia, buttatami lì ieri sera da un tale professore di matematica del liceo, conosciuto per caso ad un pub, che non era, in quel momento... in totale possesso delle proprie facoltà mentali. Penso avesse fumato erba, ecco.
Detto professore, un uomo gentile dall'accento divertente, ha esordito con discorsi perfettamente equilibrati tra la saggezza ed il delirio, cosa che ho infinitamente apprezzato, devo dire, perché non ne capitano molte di persone così. Ma non è del professore che volevo parlare, anche se su di lui e sulla serata di ieri ci sarebbe da scrivere un libro, probabilmente.
La frase che mi ha colpita, buttata lì apparentemente per caso, ma evidentemente frutto di lunghe e profonde riflessioni, silenziose o non, è stata questa: "è un fatto assai raro, anzi potrei dire impossibile, quello che tu dica una cosa, e l'altro capisce esattamente quello che volevi dire."
Banale, all'apparenza, un po' sciocca anche. Ma non la prenderei così alla leggera, se non altro perché quella semplice frase va a chiamare in causa il famoso principio della relatività, a cui sono assai affezionata: non troverai mai due persone che percepiscano allo stesso modo lo stesso fenomeno. A questo semplice fatto, a mio avviso, si potrebbe quasi ricondurre la causa di tutti i problemi dell'umanità.
Ma il motivo per cui l'ho tirato in ballo è effettivamente un'altro: mi sento assolutamente libera di trattare qualsivoglia argomento, nel mio blog ed anche altrove, perché anche se ne ha già parlato un sacco di gente, è assai difficile che qualcuno ne abbia la mia stessa identica percezione. E questa vorrebbe anche essere una frecciatina a tutti gli artistoidi che oggi vanno di moda e che, pur di fare qualcosa di diverso, creano oscenità di livelli cosmici.
E pur senza volere, mi sono ricollegata in modo logico al discorso che volevo realmente affrontare: le persone che dicono ai guru che sono incoerenti. O forse non è logico. Non lo so.
Una delle principali scuse per non seguire l'insegnamento di qualsivoglia maestro, insegnante, guru, guida è proprio questa: lui/lei predica bene ma razzola male, lui/lei è incoerente. Certo quel che dice mi sembra più che giusto... però lui/lei non lo fa.
E' ben noto, eppure, che tutti quanti sappiano essere davvero saggi, quando si parla della vita degli altri, un po' meno per quanto riguarda la loro. Ora, senza andare a considerare l'ipotesi di un vero e proprio maestro di vita, che a quanto so sono rari e che devono sapere esattamente di cosa stanno parlando, quando ne parlano, devono averne esperienza: sono fermamente convinta che molti abbiano un'idea abbastanza precisa di quale sia la cosa più sensata da fare in certe situazioni, e che sia più che lecito condividerla con altre persone che facciano lo stesso tipo di ricerca, consigliarsi a vicenda, anche se non si è ancora in grado di mettere in pratica. Si può anche dare un saggio consiglio o insegnamento ad una persona, augurandosi che, quando si è personalmente in difficoltà, suddetta persona ce lo ricordi. Capita a tutti, a parte ai maestri di vita, intendo, di perdere la lucidità.
In ultima analisi, penso che il vero motivo per cui ci si attacchi a questa assurda storia dell'incoerenza, sia la paura, la paura di quel consiglio che ci sembra così giusto, eppure così scomodo da applicare. Meglio prendersela col guru, con la persona che ci ha consigliato, e rimarcarle il fatto che lei, però, non è stata in grado di metterlo in pratica. In questo modo, non una ma due persone, sono rimaste con un problema irrisolto.
Non so esattamente spiegare il motivo per cui sento il bisogno di giustificare, in qualche modo, questa assenza di originalità negli argomenti trattati, visto che, in tutta franchezza, sono perfettamente a mio agio con questa cosa: non che non senta il bisogno di essere originale a tutti i costi, anzi, ne sono vittima come tutti gli esseri umani che siano un attimo proiettati verso l' "andare oltre", il fare "di più" di quel che la vita mondana richiede loro. Certo è che non avverto questo bisogno in questo preciso momento, anche perché, se lo sentissi, probabilmente parlerei di qualcos'altro, oppure mi dedicherei ad attività diverse dallo scrivere un blog, tipo fumare il narghilè allo zenzero mentre studio meccanica quantistica in lingua armenica. Sono cose che succedono.
C'è inoltre da considerare una frase molto saggia, buttatami lì ieri sera da un tale professore di matematica del liceo, conosciuto per caso ad un pub, che non era, in quel momento... in totale possesso delle proprie facoltà mentali. Penso avesse fumato erba, ecco.
Detto professore, un uomo gentile dall'accento divertente, ha esordito con discorsi perfettamente equilibrati tra la saggezza ed il delirio, cosa che ho infinitamente apprezzato, devo dire, perché non ne capitano molte di persone così. Ma non è del professore che volevo parlare, anche se su di lui e sulla serata di ieri ci sarebbe da scrivere un libro, probabilmente.
La frase che mi ha colpita, buttata lì apparentemente per caso, ma evidentemente frutto di lunghe e profonde riflessioni, silenziose o non, è stata questa: "è un fatto assai raro, anzi potrei dire impossibile, quello che tu dica una cosa, e l'altro capisce esattamente quello che volevi dire."
Banale, all'apparenza, un po' sciocca anche. Ma non la prenderei così alla leggera, se non altro perché quella semplice frase va a chiamare in causa il famoso principio della relatività, a cui sono assai affezionata: non troverai mai due persone che percepiscano allo stesso modo lo stesso fenomeno. A questo semplice fatto, a mio avviso, si potrebbe quasi ricondurre la causa di tutti i problemi dell'umanità.
Ma il motivo per cui l'ho tirato in ballo è effettivamente un'altro: mi sento assolutamente libera di trattare qualsivoglia argomento, nel mio blog ed anche altrove, perché anche se ne ha già parlato un sacco di gente, è assai difficile che qualcuno ne abbia la mia stessa identica percezione. E questa vorrebbe anche essere una frecciatina a tutti gli artistoidi che oggi vanno di moda e che, pur di fare qualcosa di diverso, creano oscenità di livelli cosmici.
E pur senza volere, mi sono ricollegata in modo logico al discorso che volevo realmente affrontare: le persone che dicono ai guru che sono incoerenti. O forse non è logico. Non lo so.
Una delle principali scuse per non seguire l'insegnamento di qualsivoglia maestro, insegnante, guru, guida è proprio questa: lui/lei predica bene ma razzola male, lui/lei è incoerente. Certo quel che dice mi sembra più che giusto... però lui/lei non lo fa.
E' ben noto, eppure, che tutti quanti sappiano essere davvero saggi, quando si parla della vita degli altri, un po' meno per quanto riguarda la loro. Ora, senza andare a considerare l'ipotesi di un vero e proprio maestro di vita, che a quanto so sono rari e che devono sapere esattamente di cosa stanno parlando, quando ne parlano, devono averne esperienza: sono fermamente convinta che molti abbiano un'idea abbastanza precisa di quale sia la cosa più sensata da fare in certe situazioni, e che sia più che lecito condividerla con altre persone che facciano lo stesso tipo di ricerca, consigliarsi a vicenda, anche se non si è ancora in grado di mettere in pratica. Si può anche dare un saggio consiglio o insegnamento ad una persona, augurandosi che, quando si è personalmente in difficoltà, suddetta persona ce lo ricordi. Capita a tutti, a parte ai maestri di vita, intendo, di perdere la lucidità.
In ultima analisi, penso che il vero motivo per cui ci si attacchi a questa assurda storia dell'incoerenza, sia la paura, la paura di quel consiglio che ci sembra così giusto, eppure così scomodo da applicare. Meglio prendersela col guru, con la persona che ci ha consigliato, e rimarcarle il fatto che lei, però, non è stata in grado di metterlo in pratica. In questo modo, non una ma due persone, sono rimaste con un problema irrisolto.
domenica 22 dicembre 2013
La magia del Natale
E' accaduto recentemente, ed in modo assolutamente inaspettato, che mi rendessi conto, più di quanto me ne renda conto di solito, di quanto io sia fortunata.
E' accaduto il giorno in cui sono tornata a Modena, per le vacanze di Natale, a passare due tranquille settimane con la mia famiglia, i miei vecchi amici e la mia città che, nonostante non sia molto lontana da Padova, mi manca in maniera a dir poco incredibile.
Non so se sia stato il ritorno, il Natale, il percorso di crescita personale che sto seguendo o, come il buon senso e la probabilità suggeriscono, un misto tra le tre cose. Da quando sono qui, ogni cosa sembra magica, incredibilmente.... wow! E' in particolare accaduto che, come solevo fare lo scorso anno, quando ero sola e disoccupata e cadevo spesso e volentieri vittima di una malinconica noia, sia andata a mettere a bagno i piedi, e mi sia ritrovata a pensare a quanto magnifico sia il fatto che io abbia la possibilità, ogni giorno, in qualsiasi momento, di avere acqua calda, senza doverla scaldare.
Dopo qualche istante di estrema meraviglia e stupore per non aver mai fatto caso, prima d'ora, a questa enorme fortuna che ho, mi sono fatta un breve ripasso mentale di tutti quei meccanismi che fanno sì che l'acqua calda sia continuamente presente nei condomìni, senza che i condòmini facciano un gran ché per procurarsela: a loro basta soltanto girare una manovella in una direzione. Tempo addietro, parlando di questa zona, ed ancora oggi, in altre parti del mondo, per avere questo privilegio le persone dovevano, e devono, procurarsi acqua fresca, trasportarla fino a casa, accendere un fuoco, riscaldarla ed utilizzarla abbastanza in fretta, prima che si raffreddi di nuovo. Non entrerò nel dettaglio di questo discorso, trattandosi di un'esperienza che non ho avuto modo di vivere direttamente (anche se mi piacerebbe provare). Ho quindi pensato a quanto tempo e fatica viene risparmiato, a noi fortunati occidentali, da tutta questa serie di processi che altre persone svolgono per lavoro (per procurarsi soldi parte dei quali, tra l'altro, utilizzeranno per pagare l'acqua calda per le proprie case).
Così va ormai la nostra vita: non dobbiamo fare altro che estrarre una banconota, e spesso e volentieri più di una, dal portafogli, e qualsiasi servizio è a nostra disposizione (non mi addentrerò nel discorso di sesso e prostituzione, più che altro perché mi dilungherei in elucubrazioni sul quanto il sesso possa essere definito servizio). Non dobbiamo quasi più fare niente per ottenere quel che ci serve per vivere una vita dignitosa e comoda. O meglio, sì, dobbiamo lavorare, ma il lavoro è un mezzo indiretto. Non dobbiamo cacciare, ecco. Un notevole risparmio di tempo, di fatica, ma a cosa porta tutto ciò? Per quanto incredibili siano le fortune e le comodità di cui godiamo, senza aver fatto un gran ché per conquistarcele (non personalmente, si intende) sono pochi ad usare tutto ciò in modo costruttivo: sono pochi addirittura a rendersi conto di quanto poco scontato sia vivere in questa maniera. Viviamo in un mondo in cui lavoriamo incessantemente per gli altri e loro lavorano incessantemente per noi, e a malapena ce ne accorgiamo. Differenziando, dividendo, abbiamo perso ogni briciolo di cognizione di causa-effetto, abbiamo perso la consapevolezza e la gratitudine, e molto spesso anche l'ingegno, quella magica capacità che ci è data per risolvere i problemi, l'impulso creativo che ci fa sentire vivi.
Siamo come mummie che cercano di sopravvivere brancolando nel buio, e che solo in rare occasioni, come ad esempio il Natale, ricordano qualcosa di vago riguardo all'amore.
Forse si tratta di mie elucubrazioni e false speranze, forse perché in fondo sono molto più romantica di quello che sembra, ma ho come l'impressione che le guance delle persone siano un po' più rosse, sotto Natale, questa festa di origini pagane tramutata in cristiana che e così intrisa di ipocrisia e capitalismo, eppure appare come un'oasi nel deserto, in mezzo all'inverno, come a ricordare che nonostante freddo e stanchezza c'è ancora qualcosa per cui gioire, e finalmente le persone si prendono cura di qualcosa. Lo fanno per tradizione, senza nemmeno rendersene troppo conto, ma lo fanno, e secondo me è questo ad essere importante.
Come se per un attimo si potesse respirare, un po' più profondamente del solito.
domenica 3 novembre 2013
L'Assurdo
Tutto prosegue regolarmente, anche se allegro, nel luogo in cui mi sono trasferita. La mia città, invece, è diventata un teatrino dell'assurdo.
Non starò a dilungarmi per molto sul fatto che già soltanto questo semplice fatto è di per sé assurdo, altrimenti temo starei a dilungarmi per un tempo ed un numero di righe eccessivo su come l'assurdo comprenda l'assurdo, e mi inizierei a chiedere se si tratti di un'interferenza costruttiva come quella tra onde, per cui l'ampiezza dell'assurdità viene incrementata, o piuttosto di un classico doppio meno che fa più, per cui la presenza dell'assurdo nell'assurdo finisce per rendere tutto normale.
Tutto questo per dire che, di solito, quando una persona di età relativamente giovane relativamente al mondo, anche se, nel mio caso, un pelo avanzata relativamente a quella dei compagni di corso e di stanza, se ne va da casa dei genitori, in un'altra città oltretutto, non troppo vicina, tendono, da quanto ne so io, ad accadere assurdità proprio in questa nuova città, e questa volta non si tratta di un fatto assurdo: non c'è controllo, tutto è nuovo e sconosciuto, non si sa bene dove fare la spesa, cosa comprare e come trasportare questo qualcosa sulla bici mezza scassata comprata per davvero pochi soldi, non si conosce nessuno e si fanno tante figuracce, e i coinquilini non sempre sono persone normali. Si tratta dunque di un caso in cui l'assurdità è l'ordine del giorno, e, anche se la si può trovare assai divertente, se si possiede una buona dose di senso dell'umorismo, o frustrante, in caso contrario, non ci si stupisce troppo del fatto che accada: sono cose normali da studenti fuori sede, diverse tra loro ma unite per tutti. C'è anche il caso, oltretutto, che si crei una certa solidarietà, in certi contesti, tra studenti fuori sede, ognuno spaesato e perso in questo mare di assurde novità, carichi di spirito di avventura ma anche di quel vago senso di solitudine che fa da sottofondo, e a cui si cerca di compensare riunendosi con i primi che capitano a mangiare una pizza e parlare dei professori, o bere una cioccolata calda all'una di notte, perché gli orari non ci sono.
A causa di questo senso di solitudine, comunque, capita che chi ne ha la possibilità e non deve prendere aerei o treni infiniti a prezzi smodati, torni a casa per qualche giorno, se non altro in cerca del viso amico di genitori e amici che si sono lasciati indietro, in cerca di coccole e rassicurazioni; non ci si aspetta, dunque, di ritrovare al proprio ritorno una situazione più assurda di quella da cui ci si è presa una momentanea pausa. Insomma, può essere comprensibile, e anche piacevole, il fatto che, una volta scoperto che sei tornato, i tuoi amici facciano a gara per reclamare un briciolo del tuo tempo, quindi si presentino a studiare con te di sabato pomeriggio piuttosto che non vederti... Tralasciando il fatto che poi alla fine non si studia e ci si raccontano tutte le novità, che, sebbene sia partita da soltanto un mese, sono tante e impegnative. La gente sembra un minimo più spontanea, non c'è che dire, perché non hanno poi così tanto tempo da passare con te, e magari capita che, la notte prima che la tua amica spunti a casa tua munita di manuali di programmazione, un ragazzo con cui, da tempo, hai un mezzo flirt di cui mai nessuno ha parlato, faccia un minimo passo avanti per poi ritirarsi subito, perché entrambi avete capito quanto non sia il caso e quanto non ne abbiate neanche più voglia, rendendo la nottata degna della capolista, per lo meno di quest'anno, delle situazioni imbarazzanti, e capita che, quella stessa sera, dopo che la tua amica è infine andata a casa, passi un tuo vecchio amico delle superiori a prenderti in macchina, direttamente dal Lucca Comics, strafatto di caffeina perché stava addormentandosi in autostrada, e che dobbiate cercare un pub non troppo bello in cui siete certi di non incontrare nessuno perché tu, per prevenzione e istinto di autoconservazione, non hai avvertito tutti del tuo ritorno, dunque incontrare proprio queste persone potrebbe essere non piacevole, o comunque distogliervi dalla rievocazione della vostra tipica serata a parlare di scienza e tutti i tuoi argomenti preferiti.
E così, infine, sembra che a Padova avrò un po' di pace, perché persino ora devo vedere la mia migliore amica, di domenica mattina: cosa si fa pur di non partire senza salutarla, considerando soprattutto il fatto che, nel pre - serata - più - imbarazzante - dell'anno, avete cercato di chiarire una vostra discussione, abbastanza assurda anch'essa.
Forse c'è altro che potrei dire ma francamente mi sono stancata di scrivere e vorrei fare colazione.
Saluti e alle prossime assurdità
martedì 22 ottobre 2013
Quarta settimana nella città che poi tanto sconosciuta ormai non è più. Avverto i segni del cambiamento reale, quelli che sapevo avrei provato ma senza conoscerne esattamente il sapore.
Mi sto rendendo conto di essermi trasferita, ecco. Tutto ciò che è passato sembra assai lontano e, beh, in un certo senso irreale, ma non come se fossi sempre stata qua. Sembra quasi che mi ci sia svegliata d'un tratto, senza un passato su cui basare le mie esperienze. Non esiste più nulla, tabula rasa, e forse è un bene non tanto perché fosse questo l'iniziale intento con cui ho deciso di cambiare amici, vita e città al momento della mia improvvisa e quasi folle decisione, presa nei primi giorni di settembre in seguito a qualche illuminante e intensa conversazione, visto che, in effetti, sembrava tutto fuorché il momento di cambiare aria: è stato un po' come riordinare una stanza, pulirla in ogni suo più recondito angolo per 23 difficili anni in cui più e più volte si è pensato di lasciar perdere, di lasciarla sporca com'era, ma in fondo, aiutata da una, secondo i miei gusti, discreta dose di fortuna, senza mai mollare, e poi, una volta perfettamente lucidata e riordinata, lasciarla dopo averci vissuto appena qualche minuto. Assurdo, direbbe Marastoni, il teorema non è dimostrato, i calcoli fatti per sistemare ogni cosa sono stati inutili, ora lo devi rifare daccapo. E probabilmente è quello che farò, perché forse non vale tanto la pena di vivere una vita comoda e serena, immobile, quanto costruire ogni giorno qualcosa di nuovo, seppure con fatica e, ogni tanto, crisi di nervi in cui sembra di non farcela più, momenti di totale disperazione, magari persino peggiori di quelli che ho già passati, in cui sono stata estremamente convinta di non poter più tirare avanti in alcun modo. Eccomi qua, invece, a causa del momento più folle o forse più lucido della mia vita, a riprovare, ricreare, rimettermi in gioco.
Non è semplice, neanche un po', i miei nervi sono fragili, e in certi momenti sembra occorra ogni briciola della mia forza pur di non cadere preda di una crisi. La sento vicina e so che mi possiederebbe da un momento all'altro se non fossi concentrata con tutta la mia presenza nel tenerla a bada: un solo istante di distrazione, di cedimento, e rischio seriamente di scoppiare in disperate lacrime nel bel mezzo dell'aula dell'università, maledicendomi per aver dimenticato come si fanno i limiti e i logaritmi, cose in cui tempo
addietro non avevo alcun problema, anzi: fino a meno di un mese fa, ero io l'insegnante di matematica.
Per i miei compagni il difficile è la lezione, poi loro salgono sulla corriera e tornano da amici e genitori. Io salgo sulla bici e passo spesso a fare spesa prima di arrivare a casa, conto i soldi, ed entro in camera con l'unico pensiero che dovrei studiare. E non è finita, perché sì la mia compagna di stanza è una persona stupenda, ma qua ho solo lei, ed inizio a sentire il distacco da tutto il mondo che mi circonda, come se non facessi parte di niente oltre che di questa stanza condivisa. Forse è anche questo un bene, perché dev'essere fondamentale imparare che non è necessario far parte di qualcosa per essere qualcosa, una bella batosta per l'ego; eppure mi sembra di essermi annullata, e di aver stravolto ogni equilibrio, in modo che praticamente ogni cosa si riduce al suo estremo, senza mezzi termini, ed io ho l'impressione di non esistere più, di non essere che un contenitore vuoto, senza troppa fretta di essere riempito.
Mi sto rendendo conto di essermi trasferita, ecco. Tutto ciò che è passato sembra assai lontano e, beh, in un certo senso irreale, ma non come se fossi sempre stata qua. Sembra quasi che mi ci sia svegliata d'un tratto, senza un passato su cui basare le mie esperienze. Non esiste più nulla, tabula rasa, e forse è un bene non tanto perché fosse questo l'iniziale intento con cui ho deciso di cambiare amici, vita e città al momento della mia improvvisa e quasi folle decisione, presa nei primi giorni di settembre in seguito a qualche illuminante e intensa conversazione, visto che, in effetti, sembrava tutto fuorché il momento di cambiare aria: è stato un po' come riordinare una stanza, pulirla in ogni suo più recondito angolo per 23 difficili anni in cui più e più volte si è pensato di lasciar perdere, di lasciarla sporca com'era, ma in fondo, aiutata da una, secondo i miei gusti, discreta dose di fortuna, senza mai mollare, e poi, una volta perfettamente lucidata e riordinata, lasciarla dopo averci vissuto appena qualche minuto. Assurdo, direbbe Marastoni, il teorema non è dimostrato, i calcoli fatti per sistemare ogni cosa sono stati inutili, ora lo devi rifare daccapo. E probabilmente è quello che farò, perché forse non vale tanto la pena di vivere una vita comoda e serena, immobile, quanto costruire ogni giorno qualcosa di nuovo, seppure con fatica e, ogni tanto, crisi di nervi in cui sembra di non farcela più, momenti di totale disperazione, magari persino peggiori di quelli che ho già passati, in cui sono stata estremamente convinta di non poter più tirare avanti in alcun modo. Eccomi qua, invece, a causa del momento più folle o forse più lucido della mia vita, a riprovare, ricreare, rimettermi in gioco.
Non è semplice, neanche un po', i miei nervi sono fragili, e in certi momenti sembra occorra ogni briciola della mia forza pur di non cadere preda di una crisi. La sento vicina e so che mi possiederebbe da un momento all'altro se non fossi concentrata con tutta la mia presenza nel tenerla a bada: un solo istante di distrazione, di cedimento, e rischio seriamente di scoppiare in disperate lacrime nel bel mezzo dell'aula dell'università, maledicendomi per aver dimenticato come si fanno i limiti e i logaritmi, cose in cui tempo
addietro non avevo alcun problema, anzi: fino a meno di un mese fa, ero io l'insegnante di matematica.
Per i miei compagni il difficile è la lezione, poi loro salgono sulla corriera e tornano da amici e genitori. Io salgo sulla bici e passo spesso a fare spesa prima di arrivare a casa, conto i soldi, ed entro in camera con l'unico pensiero che dovrei studiare. E non è finita, perché sì la mia compagna di stanza è una persona stupenda, ma qua ho solo lei, ed inizio a sentire il distacco da tutto il mondo che mi circonda, come se non facessi parte di niente oltre che di questa stanza condivisa. Forse è anche questo un bene, perché dev'essere fondamentale imparare che non è necessario far parte di qualcosa per essere qualcosa, una bella batosta per l'ego; eppure mi sembra di essermi annullata, e di aver stravolto ogni equilibrio, in modo che praticamente ogni cosa si riduce al suo estremo, senza mezzi termini, ed io ho l'impressione di non esistere più, di non essere che un contenitore vuoto, senza troppa fretta di essere riempito.
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