Non conoscevo tanto bene Nicolò. Lo conoscevo abbastanza.
Il messaggio che annunciava la sua morte è stato come un pugno nel petto, che poi si è propagato in tutto il corpo, facendomi sobbalzare indietro. Poi è passato. Ma ero dispiaciuta, non del tutto sorpresa.
Gli pensavo spesso negli ultimi giorni, non so bene perché. Il suo libro che mi capita per caso sottomano, un simpatico ricordo dell'ultimo incontro con lui e la sua ragazza, le sue poesie per le donne, che mi hanno tenuto compagnia in un momento di smarrimento negli ultimi giorni che ho passato a Padova, quando mi chiedevo cosa avessi voglia di fare, perché non volevo restare né tornare, perché avevo deciso di passare lì qualche giorno per augurare a tutti buona estate, ma nessuno aveva tempo di incontrarmi. Quel giorno le sue poesie mi avevano un po' scaldato il cuore.
Gli volevo bene, in qualche modo. Nicolò era come una pausa dalla comune banalità, una fresca risata per un intervento del suo blog, quando faceva sembrare teatrali comuni avvenimenti di vita quotidiana, fiato sospeso ed emozioni improvvise, a me, che non ho mai avuto una gran sensibilità per la poesia.
Invece le sue le leggevo ad alta e bassa voce, e guardavo gli amici che ascoltavano come a dire "sentito che bello?".
Quando lo incontravo per caso, mi salutava gentile, e gli interessava tutto, tutto quello che avevo da dire. Mi ha dato un consiglio prezioso, anni fa, quando io studiavo anatomia per un esame che non avrei mai dato, e lui si prendeva una pausa dal suo lavoro di bibliotecario.
Le parole dei suoi versi risuonano continuamente in me in questi giorni.
La notizia dell'accaduto non mi ha sorpresa, ma mi ha colpita, certo.
Una faccenda strana, un po' surreale, una faccenda che ha lasciato me, come tanti, senza parole.
Ho sentito commenti strani, giudizi, e sento l'assurdità del nostro comportamento in tutto questo. Quasi fossimo obbligati, di fronte ad un evento, ad avere un opinione e sbandierarla al mondo.
Dal canto mio, mi sento di dire che un opinione, un giudizio, non è che una fuga dal senso reale, una parzializzazione dell'accaduto, perché faccia meno male, per poterlo giustificare. Perché non siamo in grado di guardare le cose, vedere come sono, accettare che a volte non c'è un'intenzione, una colpa, un peccato. Parliamo, ritualizziamo, per dare una forma dove una forma non c'è.
E ci credo che lo facciamo, se non lo facessimo potremmo impazzire.
Dal canto mio, se anche ho un'opinione non ci tengo ad esprimerla, so che non è il fulcro della situazione, mi limito a osservare.
Il fulcro è che Nicolò non c'è più, e adesso sono un po' triste, e penso che il mondo abbia perso un grande talento, un grande scrittore, una persona intelligente e originale, un amico simpatico e gentile.
Ti dirò, Nicolò, che forse capisco, e ti lascio andare.